Lost In The Supermarket 
Avremmo potuto conoscerci.

Entrambi in attesa alla fermata dell'autobus, una di quelle dove ferma un solo tipo di autobus e quindi non c'erano dubbi sul fatto che saresti salita con me, e mi sono risparmiato per l'ennesima volta la penosa metafora di vedere una persona salire sull'autobus/treno/traghetto sbagliato e passare un pezzo del viaggio a chiedermi come sarebbe stato se finalmente nella mia vita avessi avuto il coraggio di deviare un poco anche io.

C'eravamo visti prima nel supermercato, l'unico che in zona tiene aperto fino alle nove di sera, orario a cui io sono costretto dal lavoro e forse tu dalla noia di mezza estate milanese, con un caldo che ti impedisce anche di divertirti fino a che non viene sera. All'ingresso per entrambi il medesimo rituale dell'affannosa ricerca di un cestino rosso in plastica delle dimensioni che un tempo le biciclette delle nostre nonne avevano davanti, e che riflettendoci non ho mai capito come facessero a trasportare quello che avevano acquistato fino a lì. Ci siamo orbitati intorno per un po', entrambi in attesa di un gesto rivelatore, ma le mani sugli scaffali non tradivano l'esistenza di una seconda persona per cui preparare la cena; porzioni piccole di affettati, formaggi, una confezione singola di couscous con verdure io e una confezione singola di pasta fredda tu, uno stivaggio da attesa pre-guerra nucleare di succhi di frutta mela-pesca-banana entrambi, non so dire se per la sete, per la colazione o meno prosaicamente per il fatto che erano in offerta. In quelle situazioni, generalmente, do la colpa ai geni di un padre che fu capace di comprare tre doppie piastre musicassette attirato da un tre per due. Pane, grissini, minicroissant alla crema e al cacao Bauli. Ad un certo punto ti ho anche scorta con la coda dell'occhio mentre stavi valutando quale acquistare fra alcune bottiglie di vino bianco, e mi osservavi come a formulare una proposta implicita, settantacinque centilitri sono troppi per una ragazza da sola, a meno che non sia friulana. La scelta del vino bianco, inoltre, implicava una leggiadria superiore a quella delle coppiette diciannovenni alla loro prima estate in una casa da soli, che decidono per una botta di vita e preparano risotto ai frutti di mare, scampi alla griglia, mousse alla fragola... e Tavernello rosso da un litro. Nemmeno un globalizzatissimo sugelato merita una fine così orrenda da essere affogato in un vino conservato nel cartone.

Avrei dovuto risponderti acquistando una bottiglia di Vov. Non so perchè, ma da quando rivedendo le foto del matrimonio dei miei genitori ho trovato una sequenza di foto che mostravano mia madre intenta ad aprire una scatola di cartone contenente perlappunto una bottiglia di Vov, quel liquore all'uovo, adatto per recuperare velocemente le forze e per questo meticolosamente ordinato la domenica mattina di tutti gli anni settanta da torme di presunti playboy prima di raccontare le avventure sessuali della sera prima, mi è rimasto impresso come una chiara metafora di una proposta sessuale.

Mi ha punito la mia golosità; guadagnata la cassa, pagata la spesa, raggiunta la fermata dell'autobus, l'attesa.

Caldo, nonostante fossero ormai le nove di sera, e le piccole goccie di sudore che colano dalla fronte e la tua maglietta rossa che aderisce come una seconda pelle al seno e tu che a piccoli passi piano piano ti avvicini. Impossibile non bere qualcosa. Ero ormai al terzo sorso quando non ti ho vista più, e intorno al sesto eri ormai in fondo alla strada che camminavi verso casa. Ho dato un'occhiata alla bottiglia ed ho capito, anche a me non piacerebbe baciare una bocca che sa di the verde con limone e fico, perdipiù in offerta scontata sugli scaffali più orridi, quelli in fondo dalla parte opposta alle casse. Nessuno vuole una vita da seconda scelta, nemmeno quando si tratta di un inizio, a maggior ragione quando si tratta di un inizio.

La sera dopo, per la prima volta dall'inizio dell'estate, a Milano soffiava un lieve vento che manteneva il clima a livelli accettabili, ed io non avevo sete.

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Nel Ventre Della Bestia, Ancora. 
Batti le dita sui tasti con violenza, non importa quanto male puoi sopportare ai polpastrelli, le lettere fluiscono sullo schermo con la stessa velocità con cui il tuo cervello le elabora. Batti le dita sui tasti con violenza, c'è sempre qualcuno che ti vuole male; il capoufficio che ti chiede di venire anche sabato mattina al lavoro a finire l'inventario, la ragazza che ti rifiuta perchè “Preferirei rimanessimo solo amici...”, gli amici che hanno sempre troppo altro a cui pensare per ricordarsi di darti un colpo di telefono e dirti che stasera vanno a mangiare la pizza. Batti le dita sui tasti con violenza, la stessa violenza che ti hanno inflitto in tutti questi anni, la violenza che tu avresti voluto restituire al mondo ma che eri troppo intelligente per restituire, e ti sei dovuto cercare un altro modo per sfogarti.

Batti le dita sui tasti con violenza, fuori dalla finestra potrebbe esserci un bimbo che piange perchè i genitori lo picchiano, una ragazza con il fiatone sdraiata per terra che subisce una violenza, un vecchio rantolante che si chiede perchè l'aria non ne vuole proprio sapere di gonfiare ancora i suoi polmoni, qualcuno con i soldi sufficienti per potersi godere tutto questo come tu guardi i film in camera tua con il 5.1 che ti è costato tanti sacrifici. Batti le dita sui tasti con violenza, c'è tutta una città, una nazione, un continente, un mondo; e tu sei da solo con la tua rabbia e davanti a te una tastiera.

Accarezzi la gatta che nel frattempo ha continuato a dormirti accanto come se niente fosse, l'odore della tazza di tè verde fumante alla tua sinistra per un secondo ti scatena una sete d'inferno, la sollevi e piano piano ti avvicini alla finestra alternando un sorso ad un passo verso il vetro. La città per adesso dorme.

Ci sono troppe persone là fuori che si sono dimenticate di come la penna uccida più della spada.

E' ora che qualcuno si prenda il compito di ricordarglielo.

Batti le dita sui tasti con violenza. Spazio. Punto.

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